Il Bruscello


Il Bruscello in ottava rima, trae origine da un’antica tradizione, quale forma espressiva di canto e di teatro che caratterizzava il mondo contadino, della campagna e quello artigiano, del borgo e del castello e che si manifestava soprattutto in occasione di feste, mercati e fiere paesane.
Il Bruscello, è una rappresentazione a volte epico-drammatica, a volte farsesca di episodi della vita di tutti giorni, creati dalla fantasia popolare o realmente accaduti; della storia o della letteratura,
che deriva principalmente da una cantilena atonica conosciuta in tutta la Toscana ed in varie forme in tutta l’Italia Centrale, con varianti sedimentate in numerosi decenni di interpretazioni personalizzate dalla fantasia dei Cantastorie.
La tradizione del Bruscello, affonda le proprie radici, probabilmente, nella ritualità agreste dei nostri progenitori etruschi e romani, certamente nel solco della tradizione degli antichi cantari medioevali, dei giullari dei menestrelli e dei madrigalisti.
Questa tradizione di teatro popolare, che forse trae origine proprio in Valdichiana, é presente in Toscana, in varie forme, tutte collegate fra loro per l’originale comune derivazione.

 

 

Roberto Benigni in TuttoDante

 Milano, 22 marzo 2007

 

"Trepido della Chiarina e il Guercio di Vinci"

 

 

Etimologia del termine

 

Il termine Bruscello, deriva dalla trasformazione popolare della parola arboscello, poi broscello e Simbolici e rituali sono i gesti dei bruscellanti, che con la loro gestualità spontanea, esprimono i loro sentimenti di odio, amore, ira, stupore, tutti sentimenti elementari, che la voce sottolinea divenendo, ora grave ora stridula, ora solenne ora ammiccante.
In genere, si celebrava per salutare la primavera. «Brusco» è il pungitopo e poi qualsiasi cespuglio: il suo diminutivo bruscolo o bruscello ricorda insomma gli arbusti, e poi per estensione gli alberi sotto cui si sostava per riposare, discorrere e cantare. Ancora oggi il personaggio dello Storico che spiega i fatti della rappresentazione è accompagnato da un arboscello. Lo spettacolo di solito affrontava temi religiosi, cavallereschi, epici, mitologici e leggende legate alla storia al territorio, prevalentemente in versi endecasillabi in ottava rima, con l'accompagnamento della fisarmonica o del violino. All'inizio i testi erano scritti da quei contadini che sapevano leggere e scrivere, con l'aiuto del curato.

 

Ottava rima

 

L’ottava rima, è una strofa di otto endecasillabi, i primi sei a rima alternata e i due ultimi a rima baciata, secondo lo schema A/B; A/B; A/B; C/C. La prima rima della seconda strofa, è baciata sull’ultima rima della prima strofa.
A prescindere dai classici, questo tipo di metrica è molto usato nel canto popolare, soprattutto in quello bernesco, estemporaneo.
Si tratta di veri e propri “duelli” dove ognuno dei contendenti (in genere due) sceglie una parte, talvolta indicata dal pubblico. La donna grassa e quella secca, il padrone e il contadino, il democristiano e il comunista, il campagnolo e il cittadino, ecc.
Parte uno con la prima ottava e l’altro gli deve rispondere, baciando l’ultima rima. Da qui, l’importanza della “chiusa”.
Chiudere l’ottava su una parola che poco si presta alle rime, vuol dire mettere in difficoltà l’altro, che ne dovrà trovare almeno tre.
I poeti estemporanei sono una categoria in via d’estinzione. Se ne trovano ancora nell’area fiorentina, nel pistoiese, nel pisano, nel senese e in Val di Chiana e, infine, nel Lazio, in particolare nella zona dei Monti della Tolfa.
Naturalmente, dovendo improvvisare, le parole e le strofe si ripetono spesso. I poeti, saccheggiano a piene mani la Divina Commedia, che quasi tutti conoscono in gran parte a memoria.
Molti canti, sono stati poi codificati e trascritti, perdendo un po' della loro immediatezza, ma tramandandosi nel tempo.
Per capire meglio la struttura metrica, vediamo le prime strofe di un poemetto un po’ naif, celeberrimo nella campagna toscana, la Pia de’ Tolomei. Molti contadini, magari analfabeti, la conoscevano a memoria e la cantavano (l'ottava rima si canta, non si recita) in occasioni particolari, quali la vendemmia, la battitura del grano.
Quando l'endecasillabo non è perfetto - improvvisando, non è facile - il poeta lo aggiusta appoggiandosi sulle vocali o con dei troncamenti.
 


Pia dè Tolomei


Negli anni che de’ Guelfi e Ghibellini
repubbliche a que’ tempi costumava,
batteano i Cortonesi e gli Aretini,
specie d’ogni partito guerreggiava:
i Pisani battean coi Fiorentini,
Siena con le Maremme contrastava;
e Chiusi combattea contro Volterra...
‘un v’era posto che ‘un facesse guerra.

Un Signore di Siena, che non erra,
che della Pietra vien chiamato Nello,
sposò la Tolomei, onesta e sgherra,
e un giusto matrimon passò con quello:
nativa è Pia della Senese terra,
Pietro diletto è il suo carnal fratello,
e l’altro è Ghino, ch’ora a voi vi dico,
che Nello lo tenea fedele amico.

Ecco che di Valdenza viene un plico,
di carriera a cavallo una staffetta,
e v’era scritto che il campo nemico
là si avanzava, sopra il Colle in vetta.
Ritorna Nello e disse: “Al suolo antico,
digli ch’io vengo, il mio partir s’affretta;
presto sarò a trovare il reggimento
come va ‘n poppa ‘l vantaggioso vento.

Corre e abbraccia la moglie n’un momento,
e disse: “Cara, devo far partenza;
questo gl’è un plico com’a te presento,
che mi chiama per Colle di Valdenza.
Rispose Pia, con gran dispiacimento:
“Pregherò la Divina Onnipotenza,
l’Eterno pregherò con cuor sincero,
che torni a Siena vincitor guerriero!

“Nello, da te grazia dimando e spero,
di mandar scritto le cose come vanno.
Nello rispose: “Io ti sarò sincero,
ti scriverò ogni dì, ogni mese d’anno.
E intanto là, si prepar’un destriero,
si baciano tra lor, l’addio si danno.
Mont’a cavallo e la sua mano ‘mbriglia,
il pianto a tutt’e due bagnò le ciglia.

Nello tragitta per la gran guerriglia
e Ghino, da factotum vi resta,
e Pia, che di bellezza è meraviglia.
Eccoti Ghino che a pensier si desta,
la conforta, la tenta e la consiglia...
Rispose Pia: “Che parola è questa?
Ghino raddoppia per tentar l’invito,
per soddisfar con lei il su’appetito.

“Taci, rispose Pia, o scimunito,
traditore di Nello, iniquo e rio,
...e fai questo? Però non sia sentito,
il tuo brutto parlar vada in oblìo...
io penso a Nello, caro mio marito,
che santo matrimon giurai con Dio!
Ghino non puole aver quel ch’a tentato
e s’allontana da Pia tutto arrabbiato.